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  • Immagine del redattoreTre passi per Firenze

Il Battistero di San Giovanni: la Porta Nord

Nel 1401 l’Arte di Calimala aveva stabilito la creazione di un concorso per la realizzazione della seconda porta del Battistero di San Giovanni. Venne formata una commissione e venne indetto un concorso che interessò non solamente gli scultori, ma anche gli orafi. Per la prima volta i partecipanti erano in grado di utilizzare la tecnica di fusione e non ci fu bisogno di chiamare un fonditore di un'altra città. Come riportano le cronache del tempo, da 20 partecipanti ne furono scelti 7: Simone da Colle, Niccolò di Luca Spinelli (la famiglia degli Spinelli aveva dato i natali a dei pittori), Niccolò di Pietro Lamberti, Francesco di Valdambrino, Jacopo della Quercia (suo padre era un orafo), Filippo Brunelleschi e Lorenzo Ghiberti.

Le due famose formelle di Ghiberti e Brunelleschi hanno dato vita ad un dibattito molto acceso tra gli studiosi perché la tesi prevalente è che Ghiberti avesse vinto esclusivamente perché rappresentava un momento stilistico che era più adeguato al gusto del tempo, alla cultura stilistica/artistica del momento. In realtà una delle ragioni per cui Ghiberti vinse è perché come orafo egli era effettivamente più bravo e più abile di Brunelleschi, anche se quest'ultimo aveva avuto una formazione come orafo, come dimostra la matricola di quando era entrato a bottega (anche se non sappiamo a quale bottega si riferisca).

Quando ci fu l’occasione del concorso il padre di Lorenzo Ghiberti (Bartoluccio di Michele), che si trovava a Pesaro, lo chiamò come farebbe qualsiasi buon genitore, dicendogli che quella poteva essere l’occasione della sua vita. Lo stesso Bartoluccio di Michele si precipitò da Pesaro a Firenze, dove peraltro (a Pesaro) Ghiberti quasi sicuramente aveva anche imparato la tecnica della fusione dai fonditori veneziani che si trovavano in quella zona. Ghiberti, quindi, arrivò a Firenze e vinse il concorso grazie alla sua bravura; inoltre egli aveva anche il padre alle spalle! Infatti, il primo contratto della porta fu redatto a nome di Bartoluccio di Michele perché Ghiberti non era ancora immatricolato (si sarebbe immatricolato soltanto nel 1409).

Il problema della tecnica in una porta monumentale come questa è fondamentale. Si tratta di un’opera la cui realizzazione/esecuzione durò per più di venti anni. La fornace per la realizzazione si trovava in centro a Firenze, in un edificio con la corte, collocato di fronte all’Ospedale di Santa Maria Nuova. Tutt'oggi se alzate gli occhi vedrete la lapide che ricorda l’edificio usato da Ghiberti, anche se non più quello originale. È un fatto curioso perché le fornaci, sia quelle adibite alla cottura dei mattoni sia quelle per opere di terracotta etc…, si trovavano per legge fuori dalle mura della città così da evitare eventuali incendi, ma evidentemente l’Arte di Calimala voleva tenere sotto controllo l’esecuzione della Porta Nord e quindi la fornace venne posta in centro.

Numerose furono le clausole imposte dall’Arte di Calimala. Una fu quella che imponeva a Ghiberti di consegnare ben tre formelle all’anno, cosa che ovviamente non successe; un'altra vincolava il maestro a non accettare ulteriori commissioni. In realtà questo cavillo fu “annullato” poiché al Ghiberti fu commissionato, sempre dall'Arte di Calamala, due statue per le nicchie di Orsanmichele. Però, per ovviare al problema, l'artista fondò una bottega parallela guidata dal padre e a cui Lorenzo Ghiberti consegnava i propri disegni/progetti, che poi venivano eseguiti dai suoi allievi (per “allievi”, si intendono personalità importanti come Donatello).


Come precedentemente citato, nel lavorare la porta ci furono gli interventi di moltissime maestranze. Nella prima produzione, cioè quella figurata all’indomani della fine del concorso del 1401, parteciparono moltissimi giovani allievi, tra cui Giuliano di Giovanni da Poggibonsi (allievo del Ghiberti da quando aveva 12 anni ed ottimo scultore), Donatello, Michelozzo (grande artista e fonditore, ma dal pessimo carattere) e tanti altri. Potremmo addirittura affermare che presso la Porta Nord si formò un’intera generazione di artisti fiorentini, infatti non è un caso che questi battenti sono stati paragonati ad una vera e propria scuola.


La parte più difficile dell’esecuzione della Porta Nord era stato sicuramente il telaio. La prima gettata non andò bene, tant’è vero che poi, quasi di nascosto, furono chiamati dei fonditori fiamminghi. Era una operazione molto complessa perchè opere così grandi venivano fuse dentro delle forme che poggiavano in terra, per questo c’era bisogno di un giardino o comunque di una corte. Riguardo a questi aspetti tecnici può venirci incontro l’autobiografia di Benvenuto Cellini poiché egli spiega perfettamente come funziona la fusione e quali erano le difficoltà stesse della fusione. La sua autobiografia si rivelò un manuale fondamentale non solo per la storia dell’oreficeria, ma anche perché Cellini visse e scrisse di un momento particolare/speciale della storia dell’arte in genere.


Per quanto riguarda l'impostazione artistica, Ghiberti riutilizzò la medesima idea del Pisano, cioè egli divise la porta in 28 formelle mistilinee, entro le quali sono state raffigurate le Storie del Nuovo Testamento, i 4 Evangelisti ed i 4 Padri della Chiesa (S. Agostino, S. Girolamo, S. Ambrogio e San Gregorio Magno. Si tratta di figure di grande rilievo per il mondo cristiano poiché essi stabilirono i canoni della teologia e i fondamenti della Cristianità.

Per quanto riguarda la lettura, questa risulta essere un po’ complessa rispetto alla Porta Sud perché inizia dal basso e procede da sinistra a destra, dal basso all’alto.







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